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“TI AVEVO DETTO DI LAVARE I PAVIMENTI, DOPO AVER FINITO I COMPITI! SEI PROPRIO UGUALE A TUO PADRE, QUELVERME!” La voce di Lastregadisopra, attraverso la soletta che separava il suo attico dall’appartamento sottostante, era giunta all’improvviso, forte e chiara, proprio mentre Cheddonna si accingeva a servire il dolce alle sue ospiti. “Ma era la tua vicina?” si informò Cheddolce, con una smorfia di disgusto. “Temo di sì” mormorò Cheddonna, arrossendo, quasi a giustificarsi. “E con chi stava gridando?” domandò la Fulvia, allarmata. “Con Tuttasuopadre. Da quando il marito se n’è andato succede spesso…A volte le urla insulti irripetibili…meno male che IlPrincipe tiene sempre il volume alto e non sente…Il problema è quando deve studiare!” commentò Cheddonna, scuotendo la testa. “ Ma che colpa ne ha la bambina? I grandi dovrebbero tener fuori i figli dalle proprie beghe coniugali!” gridò la Fulvia, visibilmente sconvolta. “Più che altro io lo trovo molto volgare! A casa nostra le parolacce sono espressamente vietate. Quando Giannicaro ed io abbiamo qualche divergenza d’opinione ci sediamo ad un tavolo e affrontiamo civilmente l’argomento. Del resto, un accordo si trova sempre!”, esclamò Cheddolce, con un gesto apparentemente noncurante della mano che fece risplendere gli anelli di cui era adornata. Contandoli la Fulvia si fece l’opinione che a casa di Cheddolce le discussioni dovessero essere piuttosto frequenti. “L’importante è che i ragazzi vedano i loro genitori andare d’accordo, qualunque cosa succeda!” aggiunse Cheddonna, certa di aver suscitato l’approvazione del suo uditorio. La Fulvia non sembrava del tutto convinta. “In questo periodo sto leggendo parecchi libri sull’educazione dei bambini e quasi tutti sostengono che l’aggressività in famiglia non debba essere negata, ma riconosciuta ed espressa, per poter essere affrontata e risolta!”, provò a obiettare. “Nelle famiglie disastrate, forse. Non certo nelle nostre!” insorse Cheddolce. “Una volta IlPrincipe è andato a casa di un suo compagno di scuola a giocare. Quando sono andata a prenderlo stavano giocando con delle armi e la mamma non diceva nulla, anzi, sorrideva! Va da sé che IlPrincipe non ha più rimesso piede in quella casa!” aggiunse Cheddonna. “Ma i bambini hanno sempre giocato a indiani e cow boys, a guardie e ladri…anche io e mio fratello giocavamo sempre con le pistole…” provò a dire la Fulvia. “Non sono forse peggio quei videogiochi in cui totalizza più punti chi riesce a imparare il maggior numero di torture?” aggiunse. Cheddolce finse di non aver sentito e rincarò: “Un’amica della Kikk@ ha due fratelli più piccoli che non fanno che litigare tra loro. I genitori ritengono che debbano imparare a risolvere i propri conflitti da soli e non intervengono fino a quando ‘non scorre il sangue’. Ma cosa devono pensare i vicini di casa?” La Fulvia rimaneva in silenzio. Pensava ai suoi genitori. Quando era piccola discutevano spesso, qualche volta litigavano anche: problemi di lavoro, piccole incomprensioni, divergenze di idee. Ma si volevano bene, e se stavano ancora insieme, dopo tanti anni, non era certo per salvare le apparenze. Decise che quella sera li avrebbe invitati a cena.
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